Le complessità invisibili che legano il tessuto dell’esistenza incarnano la visione di una profonda e indissolubile interconnessione nel cosmo. Come disse poeticamente Galileo Galilei nel 1630 :
“Le cose sono unite da legami invisibili, non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella”.
Questa verità universale è stata anche espressa nella lettera di Capo Seattle (Blake Island 1780 circa – Port Madison 7 giugno 1866) al presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce nel 1854, dove rendeva chiaro che
“Tutte le cose sono collegate. Ciò che accade alla Terra accade ai figli della Terra.”
Ancor prima di Galileo e Capo Seattle popoli antichi come i Celti, gli Inca, i Polinesiani, i Lakota e i Maya vissero in armonia con questa comprensione, riconoscendo che l’umanità è intrecciata con il tessuto stesso dell’esistenza.
Purtroppo la modernità ha spesso occultato il nostro senso di sincronia con l’Universo, un deficit di consapevolezza e di informazione che ci richiede una profonda riflessione con successive intenzioni e azioni personali per ripristinare l’armonia dentro e fuori di noi.
Ti Amo Mi Dispiace Perdonami Grazie
Nell’occidente abbiamo adottato spesso regole che si discostano dalla natura intrinseca dell’esistenza ma chi ci nega la possibilità di riconquistare un modo di vita più coerente e reale?
Perché non ci avviciniamo al silenzio intuitivo, per ristabilire un contatto con le forze ancestrali che fluiscono sotto e intorno alla superficie terrestre, alimentando il fluire ininterrotto del ciclo vitale?
In questo intricato balletto cosmico ogni elemento è connesso agli altri, ogni essere contribuisce all’Uno.
Attraverso il percorso che conduce a questa comprensione, possiamo esplorare il filo conduttore che unisce Storia, Scienza, Fisica e Spiritualità.
Questa ricerca personale è una chiamata per riscoprire la nostra autentica natura e riconnetterci con l’Universo che ci circonda, ci contiene e ci attraversa, riconoscendo che siamo parte integrante di un tessuto interconnesso, in cui ogni azione, ogni pensiero, ogni intento e ogni impulso vibra nell’armonia dell’infinito.
In un mondo sempre più frammentato e distratto riscoprire questa consapevolezza ci consente di ritrovare il nostro ruolo all’interno del grande mosaico dell’esistenza, rinnovando momento per momento il senso di unità che collega e abbraccia l’intero cosmo.
“Possiamo agire dentro per cambiare fuori e agire fuori per cambiare dentro
perché la via è interconnessa”
(SaYa)
Nel 1854, il “Grande Bianco” di Washington, ovvero il presidente degli Stati Uniti, propose l’acquisto di una porzione del territorio indiano con la promessa di creare una “riserva” per il popolo indigeno. La risposta del “capo Seattle”, ancor oggi ritenuta una delle più belle e profonde dichiarazioni sull’ambiente, si elevò come un faro di saggezza.
Lettera del capo indiano Seattle al presidente Usa Franklin Pierce:
“Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra?
L’idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria, lo scintillio dell’acqua sotto il sole come è che voi potete acquistarli?
Ogni parco di questa terra è sacro per il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ogni ronzio di insetti è sacro nel ricordo e nell’esperienza del mio popolo. La linfa che cola negli alberi porta con sé il ricordo dell’uomo rosso.
Noi siamo una parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori profumati sono i nostri fratelli, il cavallo, la grande aquila sono i nostri fratelli, la cresta rocciosa, il verde dei prati, il calore dei pony e l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia. Quest’acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non è solamente acqua, per noi è qualcosa di immensamente significativo: è il sangue dei nostri padri.
I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordarvi, e insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovrete dimostrare per fiumi lo stesso affetto che dimostrerete ad un fratello.
Sappiamo che l’uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra è uguale all’altra, perché è come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che più gli conviene. La terra non è suo fratello, anzi è suo nemico e quando l’ha conquistata va oltre, più lontano.
Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorerà tutta la terra e a lui non resterà che il deserto.
Non esiste un posto accessibile nelle città dell’uomo bianco. Non esiste un posto per vedere le foglie e i fiori sbocciare in primavera, o ascoltare il fruscio delle ali di un insetto. Ma forse è perché io sono un selvaggio e non posso capire. Il baccano sembra insultare le orecchie. E quale interesse può avere l’uomo a vivere senza ascoltare il rumore delle capre che succhiano l’erba o il chiacchierio delle rane, la notte, attorno ad uno stagno?
Io sono un uomo rosso e non capisco. L’indiano preferisce il dolce suono del vento che slanciandosi come una freccia accarezza la faccia dello stagno, e preferisce l’odore del vento bagnato dalla pioggia mattutina, o profumato dal pino pieno di pigne. L’aria è preziosa per l’uomo rosso, giacché tutte le cose respirano con la stessa aria: le bestie, gli alberi, gli uomini tutti respirano la stesa aria.
L’uomo bianco non sembra far caso all’aria che respira. Come un uomo che impiega parecchi giorni a morire resta insensibile alle punture. Ma se noi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordare che l’aria per noi è preziosa, che l’aria divide il suo spirito con tutti quelli che fa vivere.
Il vento che ha dato il primo alito al Nostro Grande Padre è lo stesso che ha raccolto il suo ultimo respiro. E se noi vi vendiamo le nostre terre voi dovrete guardarle in modo diverso, tenerle per sacre e considerarle un posto in cui anche l’uomo bianco possa andare a gustare il vento reso dolce dai fiori del prato. Considereremo l’offerta di acquistare le nostre terre.
Ma se decidiamo di accettare la proposta io porrò una condizione: l’uomo bianco dovrà rispettare le bestie che vivono su questa terra come se fossero suoi fratelli. Che cos’è l’uomo senza gli animali?
Se tutte le bestie sparissero, l’uomo morirebbe di una grande solitudine nello spirito. Poiché ciò che accade alle bestie prima o poi accade anche all’uomo. Tutte le cose sono legate tra loro. Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che essi calpestano è fatto dalle ceneri dei nostri padri.
Affinché i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa è arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: la terra è la madre di tutti noi. Tutto ciò che di buono arriva dalla terra arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi. Noi almeno sappiamo questo: la terra non appartiene all’uomo, bensì è l’uomo che appartiene alla terra.
Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro.
Tutto ciò che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non è l’uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a se stesso.
C’è una cosa che noi sappiamo e che forse l’uomo bianco scoprirà presto: il nostro Dio è lo stesso vostro Dio.
Voi forse pensate che adesso lo possedete come volete possedere le nostre terre ma non lo potete. Egli è il Dio dell’uomo e la sua pietà è uguale per tutti: tanto per l’uomo bianco quanto per l’uomo rosso.
Questa terra per lui è preziosa. Dov’è finito il bosco? È scomparso. Dov’è finita l’aquila? È scomparsa. È la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza”.
Ringraziando Capo Seattle per queste sagge parole vogliamo sottolineare che noi non crediamo alla narrazione ufficiale che attribuisce il cambiamento climatico agli esseri umani, e che in questa epoca complessa ci troviamo ancora in mezzo a troppi interrogativi.
In un contesto in cui i colonizzatori, alias sfruttatori, sono spesso considerati i “salvatori buoni”, emerge una domanda rilevante:
per quale motivo le mappe raffiguranti i territori dei nativi americani, legittimi proprietari di quelle terre, sono escluse dai libri di storia?