Ci fa immenso piacere condividere questo episodio, che ci ha coinvolto giovedì scorso 11 maggio, e che è stato per noi un momento molto intenso.
Era piovuto tanto tutto il giorno, era anche molto freddo, e ancora oggi il caldo che sarebbe giusto a maggio non c’è. In più tutta la regione fino a 2 giorni fa c’era l’allerta meteo (che sembra cessi domenica sera). Dopo l’esondazione avvenuta a Faenza, ma anche le frane e altri piccoli grandi guai avvenuti anche qui sull’Appennino la preoccupazione generale è ancora molto viva, si sente nell’aria.
Giovedì quindi mentre cenavamo c’è stato un mega temporale, con lampi, tuoni e scrosci d’acqua violenti. E poi, non ci potevamo credere!, è partita la grandine… Pensando che non potevamo fare più di tanto, come in molte cose che percepiamo più grandi di noi, pertanto ingovernabili, a Silvia è subito venuto in mente cosa faceva sua mamma Fiorenza durante i forti temporali quando lei e i suoi fratelli erano piccoli.
Silvia ha preso quindi da un vasetto sul camino un piccolo ramo di ulivo benedetto di Pasqua, non recente ma di qualche anno fa perciò ben secco, e l’ha bruciato. E insieme abbiamo pregato nel pensiero del nostro orto, degli orti dei vicini e includendo tutti “gli altri” – orti e persone – in estensione fin dove potesse arrivare quel maltempo che avrebbe potuto procurare danni, rabbia e sconforto a quelle persone che avevano lavorato e faticato tanto per poter avere il nutrimento quotidiano o magari perchè coltivare e vendere i frutti della terra è la professione che hanno scelto o ereditato.
NELLO STESSO MOMENTO in cui il rametto di olivo è stato acceso, ed entrambi ognuno a suo modo (perchè anche noi come tutti siamo molto diversi) pregavamo e pulivamo con resa e fiducia – è bastato un attimo. La grandine ISTANTANEAMENTE è cessata e il cielo ha cominciato a schiarirsi!
Eravamo senza parole, grati e immersi in un disegno più grande che, anche se cercato e praticato, è stato in un certo senso folgorante. Consci di aver ricevuto un dono miracoloso che ci ha lasciato senza parole, riconoscenti e raggianti per l’immediatezza della risposta!
“Forse” qualcuno potrebbe pensare che sia stata una coincidenza… ma noi due, ognuno nella propria differente crescita, siamo sempre più estasiati di constatare che la preghiera – senza aspettative, senza egoismo “per il proprio orticello” bensì affidandosi e lasciando andare con fede e innocenza – semplicemente… funziona!
Ti Amo Mi Dispiace Perdonami Grazie grazie grazie 🙏❤
Siamo fatti di una cultura di tradizione che le nostre memorie forse non ricordano ma sanno e riconoscono come ataviche, come DNA, anche quelle di chi abita in città! Memorie utili da far emergere al momento giusto, in ogni circostanza, come in questo periodo storico nel quale poter collegare il nostro miglior intento alla Grazia interattiva dello Spirito Divino. Perchè a volte è tutto ciò che possiamo fare!
Questo “tutto” è davvero tanto anche se la razionalità fa letteralmente ‘di tutto’ per allontanarci dalla divinità che ci congiunge a ogni essere, situazione e alla reale realtà che collaboriamo a manifestare.
L’importante nella richiesta è la limpidezza del proprio cuore insieme alla sua bontà, nell’ottica del “sia fatta la Tua migliore volontà”, perchè essendo un infinito Uno la Tua volontà è anche la mia.
Un’ultima considerazione. Siamo tutti affascinati dall’esotico in senso ampio, perchè catturati dal folclore, dal colore, dalla novità e dalla voglia di guardare altrove. Per conoscere e a volte per sottovalutazione “perchè gli altri lo sanno sempre fare meglio”. Più di una volta ci hanno chiesto se esistesse anche da noi una qualche forma di sciamanesimo. Eccolo, è quello di cui argomentiamo qui, è la nostra tradizione italica originaria, con la sua fede, la sua forza personale e collettiva e la sua magia che ancora collega, cura e interagisce tra Terra e Cielo.
Riportiamo a tal proposito uno scritto di Celestino Vezzi che ci descrive una tradizione popolare utile e potente da imparare, da sapere e da utilizzare e da mettere in azione con la massima purezza del cuore, e nessuna aspettativa, quando ci fosse bisogno di fare la nostra parte insieme al Divino Creatore di tutto ciò che è e che siamo.
E così è fatto.
IL MAZZO DI ERBE DI SAN GIOVANNI
(IL MAC DI SAN GIUAN)
La credenza popolare attribuisce a queste gocce magici poteri, retaggio ancestrale di un popolo ricco di tradizioni legate al culto e al rispetto della madre terra.
Edvige, come tante, ha appreso l’arte della conoscenza e delle proprietà medicinali delle piante dalla sua mamma che fin da bambina la portava con sé nei lavori della campagna rivelando passo dopo passo con affettuosa e certosina pazienza il ricco patrimonio orale appreso dai vecchi.
Un rito antico: la trasmissione del sapere non scritto, ma vivo negli anfratti della memoria; una matassa momentaneamente accantonata che al momento del bisogno si dipana liberando il prezioso filo dei ricordi.
Edvige scruta fra gli steli alla ricerca della figura nota stampata in modo indelebile nella mente.
La mano dolcemente avvolge, accarezzandola, la sommità del fiore, cala lungo il suo stelo fino a giungere a contatto con il terreno poi si stringe in uno strappo sicuro, ma allo stesso tempo delicato.
Uno a uno i fiori si ritrovano insieme nel lembo ripiegato con arte del capiente grembiule: un ramaç di felet par ch’a nol trêti jù pal tet (la felce affinché non cadano fulmini sul tetto), qualche pianta di scorsegjaul (spirea) per allontanare il maligno, il sanc di Crist (iperico), il penacul e las rôsas di San Giuan (l’asparago selvatico ed il fiore di San Giovanni), la pomule (sambuco), il cumìn (comino dei prati) contro le streghe, la rude (ruta) contro il malocchio e non si può dimenticare la camomilla.
Ai margini del prato raccoglie alcuni rami nuovi di noglâr (nocciolo) in quanto, si narra, ha protetto la Madonna e Gesù Bambino nel corso di un furioso temporale durante la fuga in Egitto.
Ogni pianta richiama alla memoria una motivazione precisa: pare quasi di sentire l’eco della voce degli avi che giustifica il perché della scelta di una e dell’esclusione di un’altra.
Edvige è l’anello di congiunzione tra ieri e l’oggi, il suo gesto all’apparenza semplice e spontaneo, assume un profondo significato nella continuità della storia di queste genti.
Il capace grembiule ha accolto in un unico abbraccio le varie piante che poi, una volta rientrata a casa, Edvige avrà cura di ordinare per formare il ‘mac di San Giuan’.
Al calare della sera i rintocchi delle campane della Pieve di San Martino invitano ai vesperi solenni in onore di San Giovanni; la gente esce dalle case e s’avvia verso la parrocchiale, nelle mani fiori multicolori, assiemati con grazia e cura, liberano un intenso profumo. Anche Edvige raccoglie il suo ‘mac’, tenuto tutto il giorno in fresco nell’acqua, e si unisce ad altre donne in cammino verso la chiesa.
Quando l’ora dei vesperi arriva, la chiesa e piena di gente; tra i banchi spiccano i ‘macs’ con fiori di prato che diffondono nell’aria un intenso, variegato indefinibile profumo.
Alle antiche melodie dei salmi in latino intonate dalla Onoranda Compagnia dei Cantori fa eco il canto della gente che partecipa con fede alla funzione religiosa: tutto assume un’atmosfera particolarmente intensa e coinvolgente.
E giunge il momento più atteso: il sacerdote rivolto verso i fedeli, con i chierichetti a lato, invoca la benedizione di San Giovanni sui fiori amorevolmente raccolti. L’aspersorio attinge al secchiello, i ‘macs’ sovrastano le teste formando un grande tappeto variopinto teso in avanti a captare le gocce di acqua Santa.
La funzione religiosa è terminata, lasciata la Pieve ognuno riporta nella propria abitazione il ‘mac benedet’; con gesti che racchiudono l’esperienza di anni Edvige sale lentamente le scale di legno che immettono al salâr (solaio) e recitando tra sé ancora un’orazione appende al chiodo il ‘mac di San Giuan’. E’ un’angolo particolare questo della soffitta riservato ai ‘macs’ che di anno in anno vengono posti ad essiccare: torneranno utili ogni qualvolta il tempo volge al brutto e i nuvoloni neri minacciano il paese e la campagna.
Sarà allora che Edvige, dando ascolto alla voce della tradizione e della fede, brucerà un po’ di quel ‘mac benedet’ nel vecchio ‘scjaldìn’ (scaldaletto); mentre il fumo denso si libererà nell’aria le labbra si scioglieranno in convinta preghiera affinché il Padre Eterno allontani i nuvoloni neri che l’occhio preoccupato segue nel cielo.
Un rituale antico che oggi può sembrare inutile, ridicolo, insensato ma che nel tempo ha dimostrato il suo valore suffragato da une fede profonda e dall’intima convinzione della sua forza nel contrastare i danni atmosferici.
( di Celestino Vezzi – poeta e appassionato ricercatore degli aspetti tradizionali, storici e culturali della Carnia )